Confrontarsi con un pezzo di storia del cinema che, oltretutto, ha raggiunto una potenza iconica che ne eccede (sovrasta) i meriti filmici è impresa difficile che sovente risulta fallimentare. Non è questo il caso: sulla scorta della sceneggiatura di Hampton Fancher e Michael Green, meno contorta di quella dell’originale, e di un tocco personale al momento davvero efficace, Villeneuve vince la sfida mettendo in scena centossanta minuti il cui esito artistico probabilmente supera quello del produttivamente tormentato lavoro di Ridley Scott. Sfrondato di qualsiasi afflato romantico (non si vedono raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser, solo la colonna sonora di Hans Zimmer riecheggia le atmosfere di Vangelis) il film si avvale di una parte visiva di grande finezza con la fotografia di Roger Deakins che rende un mondo morto sia nelle labirintiche città, sia nelle inospitali lande polverose o innevate, sia nella ricostruzione della lussuosa residenza lignea (il legno è il materiale più prezioso) del riccastro Wallace (Jared Leto). Costui ha ereditato la tecnologia della Tyrrell Corporation e ora, a trent’anni di distanza dai fatti di ‘Blade runner’, sono gli androidi di nuova generazione a ritirare i vecchi Nexus. Durante uno di questi contratti, K (Ryan Gosling) inizia a scoprire le tracce che lo condurranno a Deckard (Harrison Ford) dopo aver intuito che il rapporto del vecchio cacciatore con Rachael (Sean Young) potrebbe aver dato frutti inattesi. Sulla pista non è però da solo, perché Wallace ha sguinzagliato la fedele Luv (Sylvia Hoeks) contro al quale nulla può neppure lo schermo della poliziotta Joshi (Robin Wright). Prima dell’inevitabile resa dei conti, le scene nella Las Vegas, dove Deckard si nasconde dal mondo, morta e avvolta dalle tonalità arancioni raggiungono livelli difficili da eguagliare: se proprio vogliamo trovare un difetto forse il finale è un po’telefonato e quindi in calando, ma va a incidere in maniera minima sul risultato complessivo. Il fatto che K abbia una assistente/compagna virtuale di nome Joi (Ana de Armas), un altro prodotto della Wallace, sembra testimoniare di come gli androidi stiano sostituendo gli uomini, ma di certo conferma che – al dilà o forse malgrado i due personaggi principali – questo è soprattutto un film di donne: sono loro che fanno muovere gli eventi anche quando paiono assenti come la Ana di Carla Juri. L’opera di Villeneuve è molto complessa e con ogni probabilità necessita di più di una visione perché i suoi molteplici aspetti vengano colti appieno, ma chi è disposto a lasciarsi andare alle sue stratificazioni fittamente intrecciate viene ripagato da un’esperienza non facile ma assai gratificante.