L’importante è ricordarsi che si tratta di un film, non di una lezione di storia: le forzature agli avvenimenti che tendono a beatificare una figura fondamentale ma con molti più angoli oscuri di quanti ne vengano mostrati qui possono così passare in secondo piano lasciando godere di un racconto che si beve tutto d’un fiato benché la parola la faccia da padrona quasi assoluta. La vicenda si concentra tra la nomina di Churchill (Gary Oldman) a Primo Ministro e il discorso del ‘never surrender’: in mezzo l’operazione Dynamo a Dunkerque e, soprattutto, la capacità di trascinare il parlamento, il re (Ben Mendelsohn) e la popolazione su di una posizione intransigente nei confronti della Germania hitleriana in contrapposizione con la politica più accomodante del predecessore Chamberlain (Ronald Pickup, ma, non fosse stato già molto malato, ci sarebbe dovuto essere John Hurt) e del visconte di Halifax (Stephen Dillane). Con il contrappunto della moglie (Kristin Scott Thomas) e della segretaria (Lily James), la messa in scena dei difficili momenti scorre con precisione nella sceneggiatura di Anthony McCarten che Wright vivacizza con l’efficacia di uno sguardo insolito che, quando non esagera con i preziosismi, fa sì che l’occhio possa avere la sua parte immerso nella fotografia di Bruno Delbonnel: ne esce un lavoro anche retorico, certo, ma, in fondo, il suo protagonista fu un grandissimo retore (non a caso Cicerone viene citato più di una volta). Oldman – che è destrorso e quindi si trova doppiamente a suo agio – offre un’interpretazione magistrale sotto il pesantissimo trucco meritandosi appieno l’Oscar vinto, ma è attorniato da un gruppo di attori che regalano una prova di grande finezza e fra i quali Mendelsohn (che oltretutto assomiglia tantissimo al vero Giorgio VI) regge benissimo il confronto con Colin Firth.
Per apprezzare una pellicola del genere, è necessario non aspettarsi un documentario che si attiene strettamente alla storia e al personaggio di Churchill: è più una rappresentazione della speranza e della forza di lottare che ha trasmesso ad un Europa ormai in ginocchio davanti alla Germania di Hitler.
Ciò che risulta da questa impostazione è un film non memorabile nel complesso ma con scene da brividi, che riescono a far trasparire la grande importanza storica di momenti come il discorso _"Blood, Toil, Tears and Sweat"_.
Un Gary Oldman magistrale ci dona un'interpretazione paurosa, valsagli (_finalmente!_) l'Academy Award, e che al contempo regge gran parte della pellicola sulle sue spalle.