La Wonder Woman di Gal Gadot è una specie di Don Chisciotte, come racconta l'immagine di lei per le strade di Londra in cappotto lancia e scudo, spaesata tra i comuni cittadini, che non condividono la sua visione dell'universo, imbottita delle figure mitologiche con le quali è stata cresciuta e protetta dalla verità e dalla banalità del mondo. Ma non è facile aspettare senza sbuffare che arrivi la sua tardiva presa di coscienza e, con essa, la consapevolezza che la guerra non è un gioco e la vera forza è nell'amore... Il film ci intrattiene ma ci mette anche a dura a prova, riducendo le avventure della più amata delle supereroine femminili ad un romance tra ragazzi ("Aveva ragione mia mamma..."), dove c'è spazio per lo humour malizioso sugli attributi maschili (l'orologio, s'intende) e per le sequenze al ralenti targate Zack Snyder (produttore e patron dell'operazione) ma non c'è ancora posto per ammirare il personaggio nel pieno della sua fioritura e della sua indipendenza.
Per vedere Wonder Woman, insomma, occorrerà attendere il capitolo francese, attraversando, nel frattempo, questo lungo prologo come una terra di nessuno, anche stilisticamente variabile e incerta.