Mi aspettavo qualcosa di più del solito inseguimento con l'alieno. Il film è fatto bene, ma forse era il momento di essere originali.
Delle molte imprese revivaliste in atto nella Hollywood odierna, una delle più ardue consiste nel ridare vita a una saga procrastinata (e "brutalizzata") oltre il lecito. Ignorando per di più il risultato di un prequel, Prometheus, che ha messo d'accordo in negativo critica e pubblico. Ma Ridley Scott non si tira indietro di fronte alle sfide.
Nel titolo del film ricompare la dicitura "Alien", anche solo per risollevare l'incasso, ma fin dalle prime immagini è chiaro come il film sia un ibrido tra il prequel dedicato agli Ingegneri e il primo Alien, il thriller sci-fi che ha cambiato il volto del cinema di genere nel 1979. "Ibrido" è in effetti uno dei due termini-chiave a cui ricorrere per leggere tra le righe di Alien Covenant: l'altro è "creazione".
Il sequel-prequel di Scott si gioca tutto sull'equilibrio tra queste due polarità, creazione e contaminazione. Dall'incipit che sembra richiamare A.I. e L'uomo bicentenario di Asimov, in un ambiente asettico in cui l'intelligenza artificiale raggiunge il suo apice e si interroga sul libero arbitrio, al consueto viaggio interplanetario, che ripropone, in forme più complesse, i medesimi temi.
Una nuova, ennesima odissea nello spazio, un'infinita citazione in cui le variazioni sono impercettibili aggiustamenti: androide (buono o malvagio), rapporto con una nuova specie potenzialmente superiore, lotta dell'uomo contro lo xenomorfo per ribadire la propria intelligenza.