Dopo Chicken Little la Disney torna a fare un cartone in computer grafica seguendo il percorso (tecnico) segnato da Pixar e Dreamworks ma mantenendosi sui binari (di contenuto) che storicamente gli appartengono.
Così Bolt è un film della Disney nel senso più classico, un cartone in CG che rinnega tutta l'innovatività portata nell'animazione e rifiuta un contenuto che sia in grado di soddisfare anche un pubblico più adulto grazie a più livelli di lettura come quello della Pixar o grazie ad un umorismo irriverente e demenziale come quello della Dreamworks.
La differenza si sente in un film che semplifica tutto, specialmente i personaggi. Come recitano le regole d'oro della Disney gli animali antropomorfizzati hanno un carattere che deriva dall'impressione che abbiamo dell'atteggiamento della loro specie o razza e non una personalità propria, sono davvero stereotipi e mai personaggi veri. Se si trattasse di esseri umani si griderebbe al razzismo.
Quello di Bolt quindi è davvero il buon vecchio mondo Disney, quello davanti al quale i bambini ridono solleticati nella maniera più immediata e gli adulti che li accompagnano sorridono lieti dei simpatici e rassicuranti contenuti acquietati che i loro pargoli ricevono.
C'è una canzone (cantata in italiano nell'edizione italiana) c'è una parabola morale molto semplice e usurata e dinamiche affettive che più basilari ed empatiche non si può (l'amore tra padrone e cane). Ci si chiede tuttavia quanto il piccolo mondo antico Disney, che ha saputo squassare il cinema fino agli anni '70 e che si è stancamente ripetuto con risultati altalenanti di lì in poi, possa oggi soddisfare i "nativi-Pixar", cioè quei bambini cresciuti con prodotti animati che li hanno trattati e continuano a trattarli con più rispetto.