Ci sono sfide che al cinema sono estremamente rischiose. Ad esempio quella di voler raccontare (ancora una volta) il desiderio di vita provato da un uomo che ha sempre procurato la morte. Per farlo, appoggiandosi a un libro pubblicato 20 anni fa ("A Very Private Gentleman" di Martin Booth). Il confronto, inevitabile, con film che sono divenuti dei classici può essere vinto solo se alla regia c'è un regista dallo sguardo particolarmente sensibile e davanti alla macchina da presa un attore capace di rendere credibile e 'moderno' il suo personaggio. L'accoppiata vincente è data da Anton Corbijn e George Clooney a cui si aggiunge un paesaggio capace di offrire non solo sfondi suggestivi ma vicoli, pietre direi quasi 'aria' estremamente originali. Corbijn decide di 'violare' visivamente l'isolamento di Jack scrutandone però con meticolosità da voyeurista dell'animo ogni singolo gesto che conduce alla preparazione di uno strumento di morte sicura. Non sarà Jack a dover schiacciare quel grilletto ma sarà stato lui a garantirne la precisione mortifera.
Per un ruolo del genere occorre un attore che sappia dare ai dettagli dei gesti, alle inflessioni dei non frequenti dialoghi, all'aggrottarsi di un sopracciglio l'intensità necessaria senza forzature. Clooney ci riesce ed anche se va incontro ad un finale ad alto tasso di retorica (l'unica di tutto il film) lo fa con la classe che gli è usuale. Paolo Bonacelli e Violante Placido si cuciono addosso due personaggi che consentono loro di sfruttare doti già mostrate in passato contribuendo all'esito finale. Che superficialmente può essere classificato come un 'deja vu'. Quello che invece non è.