Giusto guardando da un'altra parte rispetto a dove guardano altri Duncan poteva incontrare lo sguardo di Owen, solo stando nel posto che il suo patrigno gli ha assegnato, l'ultimo sedile di una vecchia Buick (che oltre ai sedili davanti e quelli dietro ne ha anche degli altri, ancora più dietro cioè "way way back", rivolti verso il bagagliaio), poteva guardare il mondo da un'altra prospettiva e trovare quelli come lui.
Nella storia del 14enne Duncan che vive un'estate di svolta per la fiducia in se stesso e quindi per il resto della sua vita, gli attori qui esordienti autori Jim Rash e Nat Faxon, infondono una sincerità di sguardo e un'onestà intellettuale in grado di far fare al loro lungometraggio il salto da filmetto adolescenziale (come pare essere stato pensato) a film di formazione.
La poetica del guardare da un'altra parte, essere diversi in un mondo che preme fortissimo per l'omologazione di tutti (specie i ragazzi) al costume imperante, è spesso stata affrontata dal cinema sfruttando toni estremi (la diversità di razza, di preferenza sessuale, di censo e via dicendo), qui invece Duncan è semplicemente un outsider, che non ama raccogliere le sfide (specie quelle lanciategli dal patrigno) nè desidera cambiare come tutti sembrano desiderare per lui.
Nel piccolo mondo che Rash e Faxton dipingono l'essere introversi, la timidezza o anche solo lo strabismo (insomma ogni caratteristica che crea una differenza) sono buoni motivi per accoppiare gli sfigati e così renderli tali, ghettizzati e privati della dignità. Lo si capisce subito, dal fulminante quasi monologo con drink che segna l'entrata in scena di Allison Janney (straordinaria caratterista nel ruolo della vicina di casa) che in quel luogo e in questo film tutti desiderano essere come gli altri e annullare le proprie asperità e che chi non è così sta in un angolo e non parla.
È invece nel Water Wizz, il parco acquatico che pare un microcosmo alternativo, in cui il diverso è parte del sistema, che è possibile scoprire come l'etichettamento sia una pratica di dominio e quanto poco basti per rompere le catene imposte da chi emette giudizi.
Non lesinando in ruffianeria e semplicismi C'era una volta un'estate, appoggiandosi alle idee dal bellissimo Adventureland (precursore del genere commedia adolescenziale & parchi gioco), fa il lavoro di questi piccoli film, diverte moltissimo (con un umorismo sia fisico, sia di parola) e riesce a dire quel che gli preme senza il didascalismo genitoriale delle massime pronunciate come battute enfatiche ma con l'invisibile trasparenza del quotidiano. Per lo spettatore l'impressione è sempre di aver capito da solo le motivazioni dietro ogni evento, come se non ci fosse una sceneggiatura che lavora in questa direzione o dei registi ad orchestrare tutto, come se si assistesse a un racconto di un fatto reale.