Dopo l'ambizioso esordio con Following, Nolan torna a lambiccare lo spettatore con una nuova sfida intellettuale, riscoprendo l'arcano potere della scrittura e rimettendo in discussione il tradizionale linguaggio cinematografico. La poetica del regista-letterato risiede in una scena apparentemente marginale, in cui Leonard parla con la moglie, che rilegge un libro che già conosce. All'obiezione di lui per il quale l'interesse della lettura consisterebbe nel sapere ciò che viene dopo, la donna oppone il suo punto di vista, facendosi portavoce del leitmotiv dell'intero film, che può apparire proprio come un libro sfogliato a caso, o comunque non nell'ordine di numerazione delle pagine. In effetti il trucco del luciferino Nolan trascende i limiti del pur elaborato script e risiede nel cuore stesso del cinema: il montaggio.
Decostruendo e ricostruendo la linearità della fabula, reinventa un inquietante mosaico di ambiguità ed incertezze, con una sintassi intricata e scandita dalla martellante punteggiatura delle dissolvenze, che catapulta continuamente lo spettatore in un rompicapo difficile da districare. Il punto debole di questo cerebrale edificio è però nella sua stessa logica di destrutturazione, che suggerisce in anticipo la soluzione dell'enigma e presenta un finale (?) discutibile, proprio per la sua inautenticità di scena conclusiva. L'originalità del prodotto è da ricercarsi piuttosto nella particolare struttura compositiva, che rivoluziona il più scontato modo di fare cinema, suggerendo soluzioni inedite e tuttora insondate.
Non è superfluo aggiungere che lo stesso Nolan ha "ricordato" Memento nel più ambizioso e maturo Inception, in cui un non meno tormentato Dom Cobb ricalca un iter non dissimile da quello del suo predecessore Leonard Shelby.