La tempistica non è il suo forte, ma Jennifer Lopez ha dalla sua una gran "fortuna", si sa. Il film ci scherza su, complici le dimensioni e le licenze che la gravidanza richiede e permette, e in questo lato un poco trash ma anche veritiero c'è tutto il carattere del film, il suo bene e il suo male. Si gioca di accumulazione - a partire dal numero dei neonati - e di esagerazione - la nonna ottuagenaria che si fa corteggiare per ventidue anni da un fidanzato più vecchio di lei - per raccontare una piccola parabola sull'accettazione, apparentemente insofferente ai comandamenti estetico-morali della commedia rosa ma in ultima istanza fedelissima e non priva di ambiguità.
Smontando e rimontando la sequenza della fiaba sentimenale per movimentare il ritmo interno del copione e stare al passo con quello del mondo esterno, Piacere, sono un po' incinta non narra tanto la difficoltà dell'uomo di accogliere una paternità non naturale ma quella della donna di veder saltare il suo piano, per quanto di riserva (The Back-Up Plan è il titolo originale) e di fidarsi di qualcosa che appare troppo bello per essere vero. Il film le dà man forte, facendosi bello degli aspetti sgradevoli ma realistici che mostra: principia, perciò, con l'eroina semicapovolta sul prosaico letto di ferro di un ginecologo, le riserva una prima notte d'amore in una cantina piena di formaggi messi a stagionare e si compiace di un climax che maschera un parto naturale domestico da sequenza di un horror psichiatrico.
Quel che accadrà, a questo punto, a Zoe, non può che essere più soft e più romantico del reale, ma resta curiosamente fuori scena, quasi fosse poco interessante, perché quel che preme, nel finale, è giungere al matrimonio, rassicurare, riparare. Jennifer ci casca, noi no.