Josh Boone mette in scena il romanzo di Green con estremo rispetto e in punta di piedi, senza commettere l'errore di alterare fatti o personaggi in funzione del passaggio al grande schermo e senza prendersi libertà autoriali, il che soddisferà i fan del libro ma colloca il film in un terreno di grande (forse eccessiva) cautela. Colpa delle stelle rimane aderente alla parola scritta, al punto che l'eloquio di Hazel e Gus suona talvolta bizzarro quando diventa dialogo cinematografico. In compenso Boone lavora bene sul montaggio e sull'eliminazione di alcune scene ai fini della velocità del racconto, eliminando il superfluo e lasciando intatti i passaggi narrativi e i dialoghi (anche se talvolta spostandoli di luogo o di tempo). Boone usa in modo moderato e intelligente la voce fuori campo di Hazel, che nel romanzo è l'io narrante della storia, e molto del dialogo interiore della ragazza diventa immagine, come si conviene alla narrazione filmica.
Colpa delle stelle cammina con grande cautela sul filo che separa il melodramma dalla commedia romantica, alterna in modo intelligente gravitas e umorismo, pathos e leggerezza. Soprattutto, riesce a non indulgere smaccatamente nei topos di quel nuovo genere filmico (e letterario) che è il teenager cancer romance, ovvero la storia d'amore fra teenager malati (non solo di cancro), nonostante sia ampiamente disegnato per farci consumare svariati pacchetti di kleenex.
Il cinismo insito nella premessa di fare di una tragedia un veicolo commerciale è evitato soprattutto dall'interpretazione dei due attori protagonisti: Ansel Elgort è un Augustus appropriatamente impacciato e spaccone, e centra a perfezione quel sorriso di cui si parla per tutto il romanzo, a metà fra la seduzione e lo scherno. Shailene Woodley è di una dolcezza disarmante e di una sensibilità intelligente immediatamente intuibile attraverso il suo sguardo mobile e attento. Anche l'interazione fra i due attori appare spontanea e naturale, senza eccessive contraffazioni cinematografiche. E il casting di Willem Dafoe nei panni del cinico scrittore Peter Van Houten è un colpo maestro (nonostante la diversità fisica fra l'attore e il personaggio letterario): in poche scene, Dafoe aggiunge tutto il sottotesto doloroso che il romanzo impiega svariate pagine a comunicare.
Peccato per la continua sottolineatura musicale a base di teen soft rock che appartiene più alle dramedy televisive che al grande schermo. Ma è un difetto da poco per un film che soddisferà i fan del best seller letterario, più gratificati dalla fedeltà ai loro "eroi di tutti i giorni" che manipolati dalla macchina hollywoodiana.