Spinto da amicizie pesanti, Hostel arriva sui nostri schermi in pompa magna, con tanto di sacchetti per vomitare distribuiti all'ingresso delle sale. Sull'onda delle chiacchiere, Eli Roth, alla seconda regia dopo il modesto Cabin Fever, omaggia esplicitamente un po' tutti, partendo da Landis per arrivare addirittura a fregiarsi di un cameo di Miike, senza dimenticarsi di citare a più riprese lo sponsor Tarantino. Se nella prima parte ci si rifà al tipico preludio da horror sbarazzino, con più seni in primo piano che F-Words in Pulp Fiction, nella seconda si procede alla tanto decantata orgia di sangue ed efferatezza: tutto secondo copione, con tanto di pinze, saldatori e cure medievali. Ostentando conoscenza del genere, Roth riesce a banalizzare un soggetto che rubacchia dall'immaginario snuff e da Il Coraggioso, dando vita ad un prodotto piatto, monocorde e pretenzioso.
Un'accozzaglia di strumenti di tortura, membra e rimandi in cui cercare alte metafore pare sinceramente fuori luogo.