Ancora una volta la traduzione creativa di un titolo cinematografico perde il senso del film e 'legittima' significati altri e arbitrari. La commedia corale di Dennis Dugan riflette, come indica il titolo originale (Grown Ups) e ragiona l'opera precedente (Zohan - Tutte le donne vengono al pettine), sul processo di crescita e il mancato sviluppo all'età adulta di una nazione. Perché i cinque protagonisti, proprio come l'ex agente del Mossad israeliano con la predilezione per gli anni Ottanta e l'hairstyle d'oltreoceano, rifiutano la maturità e perseverano negli stili di vita adolescenziali.
Scritto, prodotto e interpretato da Adam Sandler, Grown Ups ha poco o nulla a che fare coi bamboccioni del ministro nostrano, che vorrebbe una legge per obbligarli a uscire di casa a diciotto anni. I bamboccioni di Dugan sono "cresciuti" e sono "già fuori", hanno una famiglia, un lavoro, una vita da inventare e da anni ormai hanno imparato a rifarsi il letto. In filigrana dietro la commediola demenzialcomica americana, idealmente prossima a quelle di successo di Apatow e soci, c'è ancora il giudizio sull'infantilizzazione statunitense, a cui si aggiunge questa volta (almeno) l'intenzione di crescere. Legando allora gag scatologiche e motivi triviali, che non trascendono mai davvero perché quella di Dugan è una commedia sulle famiglie per le famiglie, il regista ripresenta il corpo di Adam Sandler, comico ebreo dell'immaturità decisamente impegnato in ruoli connotati da una sorta di adolescenza a oltranza.
La novità denunciata dal titolo, un gruppo di amici impegnati a maturare insieme nell'impatto con la vita rurale, non basta a risollevare una trama già svolta e raccontata e arrivata fuori tempo massimo. Gli "svalvolati", diventati adulti a un passo dal lago e a un giorno dall'indipendenza americana, finiscono per "stagionare" dentro uno sconsolato repertorio di luoghi comuni.