Kevin Feige e la Marvel giocano, sperimentano con il biondo dio del tuono e lo affidano a Taika Waititi per un trattamento pop. Difficile stabilire quanto siano rimaste sciolte le briglie del visionario regista, che prova a iniettare forti dosi di kitsch da primi anni 80 nel corpo di un blockbuster supereroistico minore. Brani synth-pop affidati alla cura di Mark Mothersbaugh - ex Devo e sodale di Wes Anderson - ed estetica da space opera povera e sporca, stile Tatooine del primissimo Star Wars. Funziona e a tratti trascina, ma il gigantismo da cui sono affette le produzioni MCU infine prevale, obbligando a un prima e un dopo: a sequenze ad Asgard dallo scarso appeal; alla conclusione, più o meno elegante, di obblighi contrattuali (Hopkins, Portman, Asano Tadanobu); all'utilizzo reiterato di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin per rientrare del costo dei diritti. Di come avrebbe potuto essere un Ragnarok svincolato da lacci e lacciuoli ci resta qualche suggestione.