È dal lontano 1996 (Music Graffiti) che Tom Hanks non dirigeva un film per il grande schermo. Torna a farlo ora scegliendo nuovamente se stesso come protagonista e facendosi affiancare nello scrivere la sceneggiatura da Nia Vardalos (a cui Hanks aveva prodotto Il mio grosso grasso matrimonio greco). Proprio qui sta il problema di un film che perde a un certo punto per strada le ottime premesse. Perché Hanks con quella faccia un po' così e quell'espressione un po' così (e con un Forrest Gump nel curriculum) è perfetto per interpretare il ruolo di Larry Crowne. Un addetto di supermarket coscienzioso che si vede messo alla porta per una filosofia aziendale assurda tanto quanto lo è il comportamento dei dirigenti nei suoi confronti. Il suo stupore meditabondo nei confronti di un mondo che va alla rovescia è di quelli che lasciano il segno (così come la scena del rifornimento alla stazione di servizio in cui comprende di non potersi più permettere l'auto). Lo stesso vale per il suo spaesamento nei primi giorni di college come per il rapporto che si instaura con la frizzante e materna Celestia (un'ottima Gugu Mbatha-Raw che il cinema farebbe bene a strappare alla televisione). Peccato però che progressivamente Vardalos, facendo leva sul personaggio della professoressa, spinga il pedale sull'acceleratore dei rapporti di coppia dimenticando ciò che era stato in precedenza suggerito. Così alla fine è lo spettatore che, al posto di Larry, comincia ad avvertire un certo disagio. Credeva di star assistendo a una commedia amarognola sul disagio multiplo dei nostri tempi e si ritrova di fronte a un film sentimentale. Costretto così a dare atto ai titolisti italiani (sempre pronti ad indirizzare il pubblico al di là del senso del titolo originale) che, in effetti, lo avevano avvisato.