Se la vera forza di un'avventura videogiocata sta nella sua giocabilità e nella sensazione di entrare gradualmente in un mondo altro, la forza di un film risiede piuttosto nella fantasia narrativa e iconografica. Da una parte la lentezza di un'esplorazione dove è facile perdersi alla ricerca di una chiave nascosta o di un nemico da abbattere sotto l'effetto di una droga sintetica, dall'altra la crescente frenesia della fruizione cinematografica. John Moore, sulla scia del successo del videogame cinematografizzato, videogamizza il film, mutuando strutture e forme dal "Max Payne" game. Max Payne è un'(anti)eroe virtuale che si disanima incarnandosi nel corpo di un attore, l'armato ragazzaccio in action di Mark Wahlberg. Il regista recupera e reinnesta nella sua "trasposizione" la tradizione del genere noir, che sin dalle origini si configura come potente macchina estetica e narrativa, sospesa sull'indecidibilità tra bene e male. Nero, nerissimo, Max Payne è un personaggio oscuro, un cacciatore implacabile con cui è impossibile non identificarsi. Cosa c'è di più romantico della vendetta per amore? O di un poliziotto mai pacificato che combatte il crimine e l'ambiguità della giustizia? Come "Il Punitore" (The Punisher), creato da Gerry Conway, Ross Andru e John Romita Sr., Max Payne è sopravvissuto alla sua famiglia ed è deciso a vendicarsi, sostituendosi alla legge, perseguendo la punizione e trasformandosi in giudice e boia.
La trasposizione di Moore non produce un significativo scarto rispetto ai precedenti film tratti da videogame (Lara Croft- Tomb Raider, The Hitman, Resident Evil) procedendo a una semplice e pura translazione semantica, ovvero la "traduzione" di una storia dai codici propri del gioco tridimensionale a quelli dell'immagine in movimento. Non realizza insomma un vero e proprio innesto della grammatica del videogame di partenza all'interno di un diverso sistema di comunicazione. La computer graphic, lo slow motion e le riprese in soggettiva non sono sufficienti a restituire l'universo stilistico del gioco originale. Le straordinarie abilità atletiche di Payne nel film appaiono esagerate. Se nel gioco sono credibili, al cinema richiedono quanto meno una giustificazione narrativa: Max non è un supereroe extraterrestre come Superman, né il Neo della resistenza contro l'universo virtuale di Matrix, che conosce l'artificiosità delle leggi fisiche di quel mondo e quindi può superarle. Nel film Max Payne appare come un piatto stereotipo in un sistema narrativo tanto scontato quanto inconsistente. Soltanto in un videogioco la storia è quasi superflua se non addirittura ignorata a beneficio dell'azione. No, Max non è apparso sullo schermo. Max Payne si rivela soltanto a chi ha la pazienza di entrare nel suo ruolo e dentro l'esperienza ludica, soffrendo e giocando per lui.