Come si può rilevare dalla sinossi della parte iniziale in Upside Down gli elementi della fiaba si mescolano all'archetipo narrativo di Romeo e Giulietta in un contesto di science fiction. Apparentemente ci troviamo quindi di fronte a una rivisitazione di luoghi della narrazione già ampiamente esplorati. Fortunatamente non è così. Perché la forza del film di Diego Solanas non sta nella storia (che ha comunque degli sprazzi di originalità anche se strettamente legati ai ruoli studiati da Propp in "Morfologia della fiaba") ma nell'ambientazione che, oltre che visivamente suggestiva, acquisisce una forte dimensione simbolica. I due mondi (ognuno dei quali risulta rovesciato per l'altro) hanno strutture urbanistiche agli antipodi.
Per quanto il pianeta di sotto si presenta come un paesaggio devastato in cui si ergono edifici fatiscenti, il pianeta di sopra è invece moderno e razionale pur conservando anche interni che ricordano un passato raffinato. È in questi spazi che si muovono i protagonisti ed è in essi che si articola una riflessione che in passato avrebbe fatto la gioia di Marx ed Engels e oggi sembra ispirata da Naomi Klein e dai suoi saggi sulla globalizzazione. Perchè nel pianeta di sotto si estraggono le materie prime necessarie per produrre l'energia che viene poi rivenduta a caro prezzo a coloro che sono stati sfruttati. Sarà il maschio Adam a trovare il suo/la sua Eden infrangendo le regole ed entrando nel mondo proibito del benessere in cui un'eventuale infrazione compiuta nel passato deve essere rimossa per potersi conformisticamente adattare a un modus vivendi collettivo.
Non ci sono né frati né nutrici, né Tebaldo né Mercuzio a contrastare i due giovani amanti ma una concezione della società tutta strutturata sul profitto e in cui una miracolosa crema ringiovanente (realizzata grazie ad api rosa) funge da cavallo di Troia per una rivoluzione possibile.