Assieme a Super 8 di Abrams Paul è il secondo film dell'anno a prendere di petto il cinema di fantascienza di Steven Spielberg e lo fa con l'attitudine già mostrata dal duo Pegg & Frost nei loro esordi cinematografici britannici.
Di L'Alba dei morti dementi e Hot fuzz questo americanissimo Paul ha il modo raffinato di combinare presa in giro e serietà dei personaggi, consapevolezza di come molte regole del genere siano ridicole e amore autentico per tanti dei suoi luoghi comuni (ad esempio lo sguardo speranzoso verso il cielo). A mancare è però Edgar Wright, la parte dietro la macchina da presa del team creativo. E si sente.
Questo esordio americano del duo è infatti diretto da Greg Mottola, regista in grado di distinguersi con Suxbad e Adventureland e a proprio agio con le tematiche dell'amicizia virile e della vita adolescenziale. Due elementi non a caso molto forti in Paul nonostante i protagonisti non siano più adolescenti da tempo.
Se dunque le singole individualità funzionano e sembrano azzeccate è il loro mix a deludere. Nè carne nè pesce, Paul non ha la forza sentimentale delle commedie di Mottola nè la sottile e rigorosa ironia parodistica di Wright (ogni citazione è sovraesposta come una strizzata d'occhio troppo evidente). Diverte ma sembra sempre pronto alla risoluzione più consolatoria.
Una conversione dal bigottismo alla vita libera avviene in meno di una conversazione e ogni personaggio possibilmente negativo ha risvolti positivi se non proprio si rivela uno dei buoni. Ogni meccanismo sembra funzionare perchè unto con il miele e, per quanto si possa ridere nei molti momenti di scontro tra cultura americana e britannica o voler bene ad ognuna delle magliette citazioniste indossate dai due protagonisti lungo tutto il film, la pellicola scivola via lasciando poche tracce di sè.