Il terzo e ultimo capitolo della saga però, a suo modo, fa un passetto avanti: se, da un lato, infatti, l'inossidabile fedeltà di Anastasia alla religione del dialogo per appianare i dissapori fa di molte scene di questo film uno strumento da manuale di terapia di coppia, dall'altro lato, la sceneggiatura si svincola da qualsiasi necessità di giustificazione e le scene di sesso sbucano a intervalli regolari e irrazionali, come da prassi del soft porn. L'unico elemento che non trova spazio, in questo curioso ma tutto sommato comprensibile e umanissimo equilibrio, è quello del thriller: retaggio di un copricostume narrativo che non si ha avuto il coraggio di abbandonare del tutto, la linea che ripesca l'ex datore di lavoro di lei, invidioso di lui (come testimoniano gli occhi iniettati di sangue...) e per questo rapitore da strapazzo, è ridicola e perennemente uguale a se stessa. Serve giusto a fornire l'assist a Dakota Johnson per la battuta del film: "Leghiamolo!", dice una guardia del corpo. "Non ho niente", risponde affranta la collega. "Noi sì", rassicura tutti la protagonista.
Però qualcosa è andato "sfumando", dal primo capitolo all'ultimo, ed è proprio l'erotismo. Il sadomasochismo non ha più spazio, nella red room ci si va a dormire da soli dopo aver litigato, il sesso è canonico, rapido, un siparietto nemmeno portato a termine, nell'infinta sequela di canzonette del film. Il finale suggerisce un ritorno alla origini, ma è troppo dettato, un'altra pagina di manuale.