Dopo la tenacia jeans e camicetta di Erin Brockovich e il sesso d'alto bordo raccontato attraverso la vera pornostar Sasha Grey (in The girlfriend experience, inedito in Italia), Knockout, pur non regalando sorprese dal punto di vista della trama, colma un gap finora mai considerato (almeno dal cinema di serie A statunitense) proprio grazie alla scelta del corpo da ritrarre.
A menare senza sosta Michael Fassbender, Ewan McGregor (in una scazzottata controluce sul bagnasciuga che ricorda l'inizio di Agente 007 - Al servizio segreto di Sua Maestà), Channing Tatum e, fuoricampo, Antonio Banderas è infatti Gina Carano, campionessa di Muay Thai e poi di Arti Marziali Miste prestata al cinema. Di lottatori autentici diventati attori ce ne sono infatti decine, di donne lottatrici, dotate di sguardo intrigante, volto da star e presenza scenica degna di un film di primo piano nessuna, solitamente quella è materia da B movie. Gina Carano è la prima a fare quello che nel cinema asiatico è la regola, ovvero portare anche il corpo della donna ai confini atletici, esplorandone la plasticità in una dimensione che non è quella del ballo ma quella (cinematograficamente attigua) della violenza.
Se la girandola di tradimenti e voltafaccia che porta avanti la trama di Knockout non pare essere stata frutto di grande perizia in fase di scrittura, lo è invece la Mallory Kane interpretata dalla Carano, contractor destinata alla morte che si ribella al destino che i superiori hanno deciso per lei partendo alla caccia del suo boss (coincidentalmente anche ex ragazzo). La donna in fuga è dotata di un dinamismo e un furore che non la farebbero sfigurare in qualsiasi pellicola d'azione pura, riempie le scene pensate per lei da Sodebergh e dimostra con i fatti e non con le parole (anche in originale è stata doppiata) come il corpo femminile sullo schermo possa essere piegato e declinato in molti modi diversi dal monotono fuggi-e-fatti-catturare che Hollywood predilige o dal machismo/maschilismo dei film (americani) con Cynthia Rothrock.
Quindi si perdona a Sodebergh il ritmo blando del film, il montaggio non impeccabile delle sequenze più complesse (limitare ancora di più gli stacchi e dare più spazio alle performance reali di Gina Carano sarebbe stato opportuno), l'inesperienza nell'action movie e il suo stile invadente, qui più fuori luogo che mai, davanti alla messa in scena di uno dei più lampanti esempi di ripensamento della donna al cinema, a partire da quel suo corpo che spesso è il pretesto per uno sminuimento.