Inizia così, 4 anni dopo il trionfo al box office del film omonimo , la seconda avventura che vede fianco a fianco lo stralunato scienziato dai capelli bianchi e il giovane Marty pronto a vincere in se stesso quei timori che sono appartenuti al suo genitore. La sorpresa suscitata dalle avventure nel tempo genialmente innovate non c'è più e Zemeckis e il suo co-sceneggiatore Gale (sono gli stessi che hanno scritto 1941 diretto da Spielberg) lo sanno bene. Debbono allora conservare intatto il contenitore (il pubblico potrebbe rimanere disorientato) modificando però profondamente la forma. I due scrivono così, assumendosi un rischio calcolato, un numero 2 che necessita di spettatori che abbiano assolutamente visto il numero 1, pena la non comprensione di un'infinità di passaggi. Non solo sul piano strettamente narrativo ma anche su quello più raffinatamente linguistico perché scene come quella della festa vengono rigirate mutando le angolazioni e offrendo quindi nuove prospettive atte ad accogliere le variazioni che la nuova vicenda prevede.
Questa volta però sulla fondamentale leggerezza narrativa prevalgono le spesse nubi dell'incubo in una dimensione di postmodernità che fonde insieme show business, etica e persino riflessione filosofica con incursioni nella cibernetica (il paradosso temporale per il quale diventa estremamente pericoloso ritrovarsi ad incontrare se stessi in un altro tempo). In fondo anche il film precedente aveva suscitato più di una riflessione in tal senso (Umberto Eco aveva ipotizzato un Marty McFly che nella scena finale torna in anticipo e vede se stesso che vede se stesso che vede se stesso che compie l'azione). Ovviamente Zemeckis ha ben chiaro che deve occultare questa sorta di saggio teorico sulle possibilità della narrazione sotto le vesti dell'entertainment. Lo fa con grande abilità con inseguimenti, suspense, una pericolosa (per Marty) corsa in macchina e grazie anche alla robusta caratterizzazione di Thomas F. Wilson nel doppio ruolo di Biff Tannen e di Griff. Restano gli ammiccamenti alla 'ditta' (vedi l'ironia su Lo squalo) e un profluvio di product placement messo bene in evidenza. Con in più, per lo spettatore del 2013, il divertimento di vedere come 24 anni fa si immaginavano i tempi in cui viviamo.