Com'è fatto un alieno? Sullo schermo ha il corpo di Keanu Reeves. Corpo lasciato nell'action movie, dove i muscoli lavorano ancora nella corsa e nella lotta, per lanciare la mente nelle sfere rarefatte delle nuove tecnologie e nell'allucinazione collettiva di Matrix. Nella sua testa sono stati aperti buchi neri e il suo corpo scarnificato nella virtualità è stato fatto oggetto di nuove esplorazioni e messo in condizione di poter fare ciò che prima era consentito solo ai cartoni animati: correre sui muri, librarsi e ricadere sprofondando in un asfalto che si apre con la morbidezza di una mousse e l'elasticità di una gomma. Ancora una volta Keanu Reeves è per lo spettatore la soglia da attraversare per incontrare un altro universo, un altro sguardo, quello di Klaatu, giunto da una galassia lontana con un avvertimento per l'umanità.
Sessant'anni dopo l'Ultimatum alla Terra di Robert Wise, Scott Derrickson recupera un classico della fantascienza aggiornandolo alla mutata condizione politica e ambientale. Era il 1951 quando Klaatu, l'alieno dall'aspetto umano, atterrò sulla Terra. Erano gli anni della Guerra Fredda fra USA e URSS, degli armamenti nucleari e della psicosi del "nemico in casa". Se dobbiamo fare il gioco critico del confronto intertestuale, di quell'edizione l'Ultimatum alla Terra di Derrickson tace il grido di battaglia "Klaatu barada nikto" e mantiene Klatuu e la sua tuta, Gort e il suo casco laser (che reprime sul nascere ogni focolaio violento e antisociale), la sconfinata sfiducia nel sistema, l'intenzione pacifista, la sequenza in cui il mondo si arresta e le immagini di città smarrite e congelate ad ogni latitudine.
Ci troviamo di fronte all'ennesimo film apocalittico, un genere che occupa una posizione centrale nella mappa del cinema contemporaneo e che produce e consuma variazioni sul tema della (nostra) Fine. Avvalendosi di un imponente tessuto di rumori, il film è capace di esprimere la complementare dimensione alienante e umana della vicenda, rimandando al dualismo fra la minuscola intraprendenza degli uomini e la sconfinata potenza del cosmo. Ultimatum alla terra ci rammenta che la rappresentazione degli Stati Uniti non può essere distinta dalla rappresentazione della loro potenza militare e dalla loro implosione attorno al loro cuore di Mela, ferito e aperto. Hollywood procura allora emozioni alternative all'angoscia e alla pratica del pensiero, facendo quello che il cinema fa da oltre un secolo: raccontare la realtà attraverso immagini che funzionano contemporaneamente come un fantasma e come catarsi.