"Basato su una storia vera", quello di Marcus Luttrell e dei suoi compagni d'armi impegnati nel 2005 nell'operazione Red Wings, Lone Survivor è un film che sfugge la guerra virtuale, quella combattuta nelle sale dei centri di controllo e delle sedi istituzionali, e infila l'intimità della battaglia e la prossimità dello scontro. Dopo aver adattato allo schermo il noto gioco da tavola 'Battaglia navale' (Battleship), Peter Berg riprende il piglio sostenuto e la cool attitude di The Kingdom, scendendo di nuovo in campo. Pensato come film commemorativo, per celebrare i compagni caduti e la vita scampata del Navy Luttrell (l'unico del titolo), Lone Survivor al contrario li 'sacrifica' sull'altare dell'intrattenimento. Più interessato all'inquadratura bella che alla denuncia della crudeltà degli scontri, il dramma bellico di Berg apre sul principio formale dello scrapbook, (un memorabilia di foto, lettere, oggetti, trofei), langue nell'atmosfera surreale dell'attesa ed esplode nell'estetica western che filtra il conflitto a fuoco in montagna. Il dettaglio sull'occhio insanguinato ed esangue del Navy Axe, la morte al ralenti e 'inginocchiata' del Navy Michey (rubata a quella magniloquente di Platoon) o la foresta tagliata da una luce che impasta foglie e divise, compongono una galleria di immagini ricercate che corrono il rischio dell'oscenità. Senza scomodare il vecchio carrello di Kapò, lasciamo al lettore l'onere di rileggersi l'interpretazione di Rivette del film di Gillo Pontecorvo, è comunque necessario ritornare sulla questione delle immagini e sulla produzione dell'immaginario bellico. Peter Berg esteriorizza il sentimento e lo fa diventare narrazione estesa, giocando sulla recitazione di attori formidabili come Mark Wahlberg, Emile Hirsch o Ben Foster, sui loro volti, sui loro corpi, veicoli di emozioni e di storie dove la narrazione nasce dal ricordo di chi è sopravvissuto. Trasposizione del romanzo omonimo di Marcus Luttrell, Lone Survivor sembra un pretesto per mostrare tutto quanto il pudore e il senso etico di norma escludono dal racconto. Il film di Berg insiste sulla necessità del vedere ma curiosamente l'orrore che è davanti ai nostri occhi cade sulle spalle e impressiona i volti dei (soli) soldati americani. Il selettivo elogio della sofferenza non interessa il nemico o la gente del villaggio, intervenuta nell'epilogo e, secondo un antichissimo codice sull'ospitalità, in favore del Navy scampato. Proprio come The Kingdom, Lone Survivor soffre un dozzinale manicheismo nel descrivere lo stato di conflitto tra due orizzonti in tensione, dove all'esuberanza atletica del soldato americano che fa footing in mutande e muscoli in mostra, si contrappone il profilo orientale e bieco del nemico, sempre urlante e 'decapitante' al suono di "Allah akbar" (Dio è il più grande). In mezzo, e nel rispetto di un distinguo limpido, gli amici del villaggio. Avviato sulle immagini di archivio dei Navy Seal e concluso sulle fotografie dei compagni caduti di Luttrell, Lone Survivor traccia una brutta apologia, dove 'i nostri' non cedono mai, marcano la loro differenza etica e uccidono tormentati dal rimorso.