Daredevil cavalca l'onda dei cinecomics sollevata dagli Xmen e da Spiderman, ma annega nella banalità di una rappresentazione quanto mai piatta e sterile. Nato dalla matita Marvel di Stan Lee, il fumetto di "Devil" conobbe nuova vita grazie alla penna di Frank Miller che rivoluzionò il vissuto dell'eroe, rendendolo più cupo e maledetto, con l'animo più ferito della sua cornea.
Per Johnson il tono dark si ottiene solo con nuvole e pioggia e da una New York che vorrebbe richiamare la Gotham City gotica di Tim Burton, ma risulta solo un asettico assemblaggio di palazzi. Daredevil più che un eroe urbano è un metronotte di quartiere a cui Ben Affleck non conferisce affatto carisma e fascino. Come insegna Peter Parker, il costume è il punto di partenza di un supereroe e qui si parte male con una tuta latex posticcia e scene di vestizione degne dei migliori anime nipponici anni '80.
Una sceneggiatura debole sostiene una narrazione costantemente grottesca e sopra le righe, trovando nella recitazione caricaturale di Colin Farrell il più basso picco della sua espressione. A Daredevil manca soprattutto il senso del tatto. Un film che non tocca la corda dell'empatia, né quella del divertimento, in cui la missione eroica è immotivata nelle azioni e negli intenti, senza alcun riferimento al tormento intimo di un personaggio in bilico tra luce e oscurità.
C'è davvero poco da salvare, anche per un supereroe volenteroso, ma costretto a muoversi in un film in cui il buono è davvero invisibile.