Richard Curtis ha al suo attivo, come sceneggiatore, diversi successi assoluti della produzione britannica. Basterà ricordare il personaggio di Mr.Bean oppure riandare con il pensiero a Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e Il diario di Bridget Jones per comprendere quanto la sua sia una firma di assoluto rilievo. Come regista, il pubblico italiano lo ricorda per Love Actually del 2003; manca quindi dai nostri schermi da dieci anni, anche se nel frattempo ha diretto I Love Radio Rock. Il suo è un ritorno che si potrebbe definire rischioso perché l'utilizzo dei salti temporali nel cinema non è certo originale. Curtis però decide di muoversi su un piano differente. Tim non è l'utilizzatore di una macchina del tempo alla Wells e neppure un epigono dell'americano alla corte di re Artù nato dalla penna di Mark Twain. I suoi sono piuttosto dei 'ritorni al futuro' il cui arco temporale ristretto consente al protagonista di tentare di sistemarsi la vita grazie alla consapevolezza acquisita in precedenza.
Rispetto però ai film citati e scritti o diretti da Curtis, Questione di tempo regge meno sulla distanza. Anche se tutti gli incastri narrativi funzionano (obbligando però talvolta lo spettatore a macchinosi ragionamenti) è come se si fosse dinanzi a un film diviso in due. La prima parte, grazie alla sorpresa narrativa e all'utilizzo che ne viene fatto, è decisamente brillante e inanella situazioni che divertono in modo intelligente. Da un certo punto in avanti prevale però la romantic comedy che vede rispettati tutti i suoi 'luoghi' più convenzionali. Anche in questa parte non mancano le accensioni, ivi compreso un possibile detour che potrebbe portare alla rottura della coppia, ma tutto finisce con lo scorrere su binari molto più definiti e noti. Tutto ciò però potrebbe non essere un difetto: portare al cinema due tipologie di pubblico invece di una sola senza scontentare nessuno non è certo un risultato di poco conto.