Se avete già visto coppie di poliziotti buddy-buddy (cioè uno che più diverso dall'altro non si può) e sicuramente le avete già viste, sappiate che qui la storia si ripete. Con un'aggravante. Se pensavate che il tempo delle Scuole di polizia fosse ormai definitivamente trascorso Hollywood, in crisi di idee e con un regista che cerca di guardare al proprio passato soffrendo però di una sorta di strabismo, ve ne ripropone una riedizione stringendo sulla ormai narrativamente usurata coppia di sbirri.
Perché qui il prologo e l'epilogo finiscono con l'essere emblemi di un modo di pensare al cinema come uno spazio pronto a contenere l'arguzia e l'ovvietà purché il tutto si atteggi a narrazione sopra le righe. Ecco allora l'apertura in cui, nel corso dell'interrogatorio condotto da Paul, vengono snocciolate frasi tratte da numerosi film (divertitevi a riconoscerle) e il finale sui titoli di coda in cui si ricorre al demenziale ospedaliero.
Il problema è che la somma di gag, in qualche caso anche divertenti, non produce un totale né originale né tantomeno complessivamente esilarante. Ivi compreso il bambino che calcia il poliziotto (quello nero ovviamente perché fa più ridere (!?)) nelle parti basse.