William Eubank aveva già affrontato la fantascienza nella sua filmografia e qui conferma di conoscerne i principi basilari permettendosi anche più di una citazione (ivi compreso il riferimento al romanzo di Philip K.Dick a cui si è ispirato Ridley Scott per Blade Runner). Si concede anche un lungo spazio di prologo in cui delinea i rapporti all'interno del trio prima di entrare nel vivo della vicenda. Alla quale non può essere richiesto di applicare una logica ferramente consequenziale come quella che utilizza il protagonista nella scena di apertura perché il depistaggio dello spettatore detta legge in questo script.
Sul piano dell'estetica siamo di fronte a diverse raffinatezze un po' inficiate dall'uso eccessivo di ralenti nell'ultima parte. Ciò che però risulta più interessante e che va oltre alle inevitabili critiche di chi riterrà prevedibili gli sviluppi narrativi e le lodi di chi invece apprezzerà l'aspetto formale che mette in gioco diversi generi (dal teen movie al thriller) è il confronto tra due generazioni di attori. Da un lato ci sono l'esperienza e il mestiere di Laurence Fishburne che nella sua carriera (che ha toccato ormai le 100 presenze) è stato Morpheus in Matrix, Ike Turner in What's Love Got to Do with It ed Otello nel film omonimo. Si tratta di un attore che, anche se infilato in un ingombrante tuta per tutto il film, riesce ad esprimere innumerevoli sensazioni con mezzo movimento delle labbra. Di fronte a lui una star in ascesa come Brenton Thwaites (classe 1989) che nel giro di due anni è passato da b-movie horror di qualità come Oculus al mondo di Maleficent nei panni del principe Philip. Qui mette tutta la sua carica nervosa al servizio del personaggio. Non è necessario amare la fantascienza per apprezzare questa sfida.