È ancora una serie di libri di successo a fornire l'ispirazione per un film hollywoodiano ad alto budget con speranze di sequel. Si tratta di "The spook's apprentice" di Joseph Delaney, pesantemente rielaborato nella sceneggiatura per lo schermo ideata da Matt Greenberg e scritta da Charles Leavitt con Steve Knight.
La formazione del giovane apprendista alle arti magiche e guerriere della stirpe di cacciatori di streghe è poco formativa e molto oppositiva. Invece che ricalcare la struttura da Harry Potter (nel libro Tom ha 12 anni e alla fine dell'avventura riprende il suo apprendistato) viene scelto il modello di "Romeo e Giulietta", ovvero avere due fazioni in lotta i cui ultimi rappresentanti vogliono mettere da parte le proprie differenze in nome dell'amore, con somma ira dei mentori. Sergey Bodrov, già regista di Mongol, ha però una mano molto pesante e una fantasia molto più piegata sull'azione che sul sentimento, esegue il compito ma sembra non avere il minimo interesse nei momenti che potrebbero rendere sensata la sceneggiatura affidatagli.
Al film piace il personaggio di John Gregory, il vecchio stregone indurito dalla vita, ineffabile, infallibile, ubriacone e di poche parole (ma grande amicizia) mentre la sceneggiatura vorrebbe farne una figura a suo modo tragica. Alla stessa maniera, mentre al film piace molto portare il protagonista in avventure nelle quali la sua vita sia a rischio a causa di un addestramento incompleto (come Luke Skywalker), la sceneggiatura preferirebbe soffermarsi sulle motivazioni che i due amanti hanno per tradire le rispettive famiglie e come si pongano nei loro confronti le persone più vicine. Il risultato è che ovviamente nessuno dei due partiti è accontentato.
Ci sono molti spunti lasciati per strada (le madri dei due amanti sono personaggi molto più complessi di quel che non sembri inizialmente ma lo possiamo solo intuire) e il buono di avere una grande serie di libri dietro di sè, ovvero poter far intuire un mondo più grande di un film solo che possa mettere l'acquolina in bocca e ampli la portata della storia, è totalmente perduto. Il settimo figlio insegue più il cinema di serie B, cioè vorrebbe essere più un film di rapido consumo, asciutto e senza fronzoli (con tutta la nobiltà che queste caratteristiche si portano appresso) che un'opera desiderosa di meritare dei sequel accreditata dai volti più importanti di Hollywood (addirittura un premio Oscar).
Sarebbe allora bastato almeno che Il settimo figlio assolvesse con proprietà di linguaggio al suo compito più immediato, regalare un po' d'azione, o che avesse saputo calcare l'ottimo lavoro in materia fatto da Il trono di spade (da cui mutua anche Kit Harington), ma Bodrov fin da Mongol insegue un cinema che aspira ad avvincere senza riuscire mai a tramutare il suo sguardo particolare in sete di visione nello spettatore.