Simon West, come tutti i registi di remake che hanno a che fare con la memoria di un'icona cinefila, ha dovuto tenere ben presente la struttura che Michael Winner aveva dato a un film in cui la star era Charles Bronson. Ha così offerto il leading role a un attore già famoso ma non ancora mitizzabile a cui ha chiesto di lavorare sugli sguardi e sull'ascolto. Statham si trova così a delineare un personaggio cinico e raffinato al contempo impegnato a camminare sul filo del rasoio di un rapporto padre/figlio dal doppio sviluppo. Da un lato l'uccisione del padre simbolico, Harry, e dall'altro, l'educazione al crimine e quindi una sorta di paternità 'professionale', nei confronti del di lui nevrotico figlio Dean.
West diversifica le scene di azione tenendo conto delle lezioni che gli provengono dai maestri del genere e giungendo quasi a sfidare (ma con minori mezzi) l'impresa in stile 'mission impossible'. Arthur è un ammazzacattivi (le sue vittime non sono certo delle brave persone) lucido e razionale che si mette al fianco un coacervo di istinto bestiale a cui manca proprio ciò che in lui abbonda: la freddezza. Dal momento in cui Steve entra in scena (non a caso in un cimitero) ha inizio un incontro/confronto tra un cobra (Arthur) e un dobermann (Steve). Allo spettatore viene posto un quesito che troverà soluzione nel finale: i due sono destinati al conflitto o alla coesione? A scanso di delusioni accettate un consiglio: se proprio volete rivedete il film di Winner fatelo solo 'dopo' aver visto questo.