Ci sono attori (parliamo di bravi attori) che non dovrebbero mai caricarsi del ruolo di personaggi storici. È il caso di Tom Cruise. Il quale è, senza ombra di dubbio, un bravo attore quando è ben diretto. Lo fu nella inutilmente criticata interpretazione del Bill 'uomo senza qualità' di Eyes Wide Shut e lo ha dimostrato in maniera inequivocabile (a meno che non si volessero chiudere occhi e orecchie) sotto la guida di quel genio dell'esasperazione che è Paul Thomas Anderson in Magnolia. Ma ha bisogno di protagonisti nati dalla creatività di uno sceneggiatore. Quando 'vuole diventare', come in questo caso, un personaggio ormai oggetto di studi (il caso è diverso rispetto a quello dell' 'eroe' di Nato il 4 luglio) finisce con il ridursi nel "Tom Cruise che interpreta..." pesando così tanto sul ruolo da rischiare di annullarlo.
Le critiche più o meno preventive dei tedeschi non sono determinanti. Danno semmai l'impressione di chi è dispiaciuto per non averci pensato per primo. È la struttura generale che, così come occulta Stauffenberg sotto Cruise, rende evanescente la regia, in altre occasioni autoriale, di Bryan Singer. Siamo cioè di fronte a un'accurata descrizione dei fatti che fa seguire a un prologo d'azione una decisamente lunga sequela di colloqui per poi andare a stringere, nella seconda ora, nella narrazione del progressivo strutturarsi e poi dissolversi di un tentativo di colpo di stato di cui già conosciamo l'esito.
Finiscono così per restare nella memoria poche sequenze di cui due meritano la sottolineatura. La prima, tipicamente hollywoodiana, in cui la famiglia del colonnello è costretta a interrompere un momento gioioso per cercare riparo in un rifugio mentre, simbolicamente, sul piatto del grammofono gira la Cavalcata delle Walkirie di Wagner. La seconda, molto più cinematografica nel senso migliore del termine, è quella in cui viene battuta la (falsa) notizia della morte del Fuhrer e una delle addette scoppia a piangere. Segno tangibile del potere di fascinazione di qualsiasi dittatura.