Confezionato con filologica cura per gli anni Ottanta (è vera la storia del pilota Seal che, tra un contrabbando e l’altro, finisce nell’affare Iran-Contras arrivando all’apice per poi cadere rovinosamente) il film fatica a coinvolgere forse a causa della sua struttura troppo spezzettata. Malgrado (o forse per colpa) la struttura scorsesiana con il protagonista che racconta in voice over, il lavoro resta così al disotto della media per la coppia Liman/Cruise.
Il lavoro di Cruise negli ultimi anni, ricco di autoironia e consapevolezza del proprio ruolo, è da non sottovalutare e, in questo senso, Barry Seal rappresenta un interessante upgrade. Il suo Maverick agé, dal sorriso piacione che permane mentre gli anni passano, si sposa perfettamente con la figura ambigua di un pilota coinvolto nei peggiori intrighi, ma a cui sembra impossibile voler male. È essenzialmente lui a elevare un lavoro gravato dai troppi scorsesismi e dalla fotografia di César Charlone, pregevole tecnicamente quanto pedissequa stilisticamente, vista l'insistenza nell'abuso di gialli e colori squillanti, ormai inevitabili per accompagnare una ricostruzione 70s. Per il discorso sui media - il flashback è ricostruito in base alle testimonianze lasciate su VHS da Barry stesso - gli esiti non sono forse all'altezza delle intenzioni di Liman, ma Barry Seal resta un esempio di ricostruzione a cuor leggero su una pagina di grave vulnus alla democrazia americana, che sa evitare le classiche trappole del biopic made in USA.